L’occupazione dei disabili tra apparenza e deroghe

di Silvia Assennato – avvocato in Roma

Fotografia di Silvia Assennato

SIlvia Assennato, avvocato

 

A partire dal 1 gennaio 2018 le piccole e medie imprese che occupano tra i 15 ed i 35 dipendenti nonché i partiti politici, le organizzazioni sindacali e sociali devono porre attenzione all’entrata in vigore di nuovi obblighi in materia di collocamento dei disabili.
Sono infatti diventate operative le previsioni del decreto attuativo del Jobs Act, conosciuto come decreto semplificazioni, la cui operatività era inizialmente prevista per lo scorso anno ma che era stata prorogata in forza del c.d. Milleproroghe.
La nuova disciplina si applica anche nei confronti  di partiti politici ed organizzazioni sindacali, cosiddette di tendenza, come anche alle ONLUS che operino nel campo della solidarietà sociale, dell’assistenza e della riabilitazione.
E’ stato abolito l’obbligo per le PMI di procedere ad assunzione di un soggetto disabile solo in caso di nuove assunzioni, ovvero al superamento della soglia occupazionale minima dal sedicesimo lavoratore computabile, ed attualmente è sufficiente a configurare l’obbligo che il numero dei lavoratori subordinati nella compagine aziendale, con esclusione dei non computabili, raggiunga le 15 unità.
Questi i nuovi obblighi, ma non è chiaro dalle norme ora in vigore a carico di chi sia l’attività di controllo e quali dovrebbero essere le sue conseguenze, considerato che ci si è limitati ad estendere la platea dei possibili obbligati.
Il decreto attuativo del Jobs Act prevede ancora, a parere di chi scrive, troppe ipotesi esonerative senza esplicitare gli gli strumenti di controllo e le sanzioni conseguenti alla violazione della norma.
Risultano francamente eccessive anche le esclusioni previste dalla norma rispetto alla base di computo utile, tanto da far pensare ad una norma che in concreto troverà nulla o scarsissima applicazione, quasi una norma apparente.
Da un’analisi appena superficiale degli scritti, prodotti dalla dottrina alla vigilia ed a supporto dell’entrata in vigore della norma, non è dato infatti comprendere quali siano le sanzioni a supporto della stessa ed è notorio che qualunque obbligo normativo in perde gran parte della propria efficacia precettiva in assenza di un apparato sanzionatorio che renda maggiormente profittevole per l’obbligato l’applicazione del precetto rispetto alla sua violazione.
Con ogni probabilità quindi l’unica sanzione rimane quella della multa – il cui quantum riconosce diverse variabili – per ogni giorno di ritardo nell’adempiere all’obbligo.
Si ritiene trattarsi – e l’applicazione ormai ventennale della norma originaria ne è testimone e prova –  di strumento in massima parte inefficace per due ordini di motivi che si tenterà brevemente di esplicitare: l’eccessiva esiguità del dovuto a titolo di multa unito alla mancanza nella legge di altri tipi di sanzione, sono tali da rendere la legge stessa inefficace rispetto allo scopo dichiarato; l’occupazione dei disabili infatti non ne gioverà né in termini numerici che di qualità.
Nebulosa risulta anche la tematica dei controlli, sia in termini di soggetti abilitati che di poteri effettivi di intervento, carenza notevole se si considera che gli esoneri totali o parziali e le compensazioni, risultano in massima parte rimessi ad autocertificazione del medesimo datore di lavoro e non a criteri oggettivi anche rigidi.
E’ internazionalmente nota la fondamentale importanza dei sistemi di monitoraggio ed implementazione delle norme elemento che, in questo specifico caso, appare del tutto carente.
Il risultato abnorme e non voluto, derivante dalle prassi applicative della norma e del quale certamente il legislatore è inconsapevole, si sintetizza nella disapplicazione – nei confronti di una percentuale rilevante della popolazione – di un diritto fondamentale quale è il lavoro, costitutivo dell’intera architettura costituzionale.